Case padovane?

Pubblicato il 29 marzo 2016, da Realtà padovana

Il bell’articolo di Paolo Gubitta sul  Corriere della Sera di domenica, in margine ai dati presentati dal Sindaco sulla assegnazione di case ai “padovani”, invita ad un commento. Perché ci fa riflettere su una grande verità, della quale non dobbiamo perdere consapevolezza. Padova è stata grande e potrà esserlo in futuro se rifiuta ogni idea di chiusura. E’ una piccola città demograficamente, che dovrebbe semmai crescere considerandosi insieme ai comuni della sua cintura un’unica area urbana, ma è stata grande per la sua capacità di attrazione. E’ stato così ai tempi dell’impero romano, in cui Padova era una delle città più importanti dell’impero, crocevia di traffici e commerci con il nord e l’est d’Europa, così nel medioevo e nel rinascimento, quando la sua Università attirava le migliori menti europee. E così la Serenissima coltivava con cura la libertà e l’apertura della sua Università. E lo sviluppo dopo la seconda guerra mondiale ha camminato su una idea di apertura: l’ambizione di voler essere la Milano del Veneto, punto di riferimento per traffici, commerci, la seconda Fiera italiana, grandi strutture amministrative pubbliche e private (l’Università, l’ospedale, le strutture militari. I centri direzionali di grande aziende, ecc.) che richiamavano “foresti” che diventavano padovani.

A maggior ragione sarà così per il futuro: Padova potrà avere un ruolo se saprà potenziare le proprie capacità attrattive per le funzioni innovative delle attività globali: un ambiente culturalmente aperto, cosmopolita, adatto ad ospitare i protagonisti delle attività di ricerca, manageriali, creatività artistica e culturale, ecc. offrendo la qualità della vita di una media città europea: accessibilità a servizi di area vasta, buoni servizi per la famiglia, per la formazione, per la condizione anziana, un ambiente sostenibile. Al di fuori di questo destino ci sta quella di una piccola ed ininfluente città europea, destinata ad essere marginalizzata e con ciò marginalizzati i redditi dei suoi abitanti, la capacità di offrire servizi adeguati, ecc. Ogni volta che si proietta all’esterno una immagine di una città chiusa, assediata, spaventata si taglia il futuro: perché dovrebbero venire a Padova i “creatori di futuro” per crearlo insieme ai padovani?

1925-Padova-Scene-di-vita-quotidiana-in-una-strada-dellantico-quartiere-padovano-Ghetto

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Però c’è un però. Che sta nel fatto che sono arcisicuro (ho fatto anche qualche piccolo sondaggio) che la maggior parte dei padovani, anche quelli che non hanno simpatia per Bitonci, pensi che il nuovo regolamento per l’assegnazione degli alloggi sia giusto. Che così facendo si rimedia ad una ingiustizia. Perchè i dati si prestano anche a diverse letture però sono incontrovertibili. Con le vecchie regole il 40% degli assegnatari era italiano ed il 60% straniero. Con le nuove le percentuali si rovesciano: il 64% agli italiani, il 36 agli stranieri. Giusto così? Dipende, ma alla maggior parte dei padovani apparirà giusto. Vuol dire che prima “i comunisti” privilegiavano a prescindere gli stranieri? Certamente no, solo che le regole erano state pensate per una società diversa. In cui il fenomeno immigrazione non esisteva, le abitudini demografiche eguali e si avvantaggiava il dato delle famiglie con figli.

Oggi siamo in presenza di una società segmentata: famiglie con molti figli sono quelle straniere, quelle italiane no, o perché figli non ne fanno o perché si tratta di anziani. Con le vecchie regole oggettivamente una parte di domanda sociale non riusciva in alcun modo ad emergere nelle graduatorie. Ed è vero che come dice don Bizzotto davanti al bisogno siamo tutti eguali ma se la mano pubblica non riesce a soddisfare tutto il bisogno bisogna scegliere con criteri di giustizia. Le vecchie regole in una società profondamente cambiata portavano a delle distorsioni in cui il problema non era la nazionalità ma i segmenti sociali che soddisfavano. Quando abbiamo governato siamo forse stati troppo conservatori, non abbiamo innovato a sufficienza.

Perchè poi il vero problema è un altro. Che in Italia da decenni manca una politica che consenta di soddisfare il bisogno fondamentale dell’abitazione anche per chi non ha redditi sufficienti a comprarne una o a pagare i canoni di mercato. Pur avendo un enorme patrimonio edilizio abitativo invenduto, in grande quantità in mano alle banche. Non si guarda a questo bisogno nascosto. Nelle grandi città si fa finta di non vedere l’abusivismo diffuso: si occupa la casa a danno di chi ne avrebbe diritto, la si occupa non pagando il canone o pagando canoni risibili. Invece di fare politiche adeguate per la casa, come sono state nel passato, negli anni ’50 e negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, si fa finta di non vedere. Sarebbe ora di cambiare e tornare alla lungimiranza anche in questa materia.

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