Uno sguardo alla Francia, pensando al PD

Pubblicato il 1 febbraio 2017, da Nel Mondo

hamon-755x515Guardare oltre le mura di casa è sempre istruttivo. Ormai i processi politici risentono di una opinione pubblica che si fa sempre più globale e risente di ciò che avviene nel mondo.

Le primarie francesi dei qualcosa ci possono insegnare. Vince Benoit Hamon, ribaltando le aspettative che davano semmai più forte per rappresentare la sinistra del partito Arnaud Montebourg. È prevalso come era naturale un sentimento di rigetto verso i disastrosi risultati della presidenza Hollande, un presidente insostenibile. Così vince l’uomo nuovo Hamon, che tuttavia uomo nuovo non è davvero, con un percorso tutto interno alla politica, iniziato come assistente di Jospin e poi di Martine Aubry, per approdare al governo di Manuel Valls. Dopo esserne stato collaboratore. Per un commento generale si può leggere perche-hamon-ha-vinto-le-primarie-socialiste-e-perche-le-ha-perse-valls

A noi possono interessare di più le tendenze generali. Che sono quelle di una radicalizzazione nelle scelte politiche. Di fronte al fallimento di una globalizzazione senza regole e senza tutele le preferenze di una parte crescente degli elettori si rivolgono verso le estreme, a destra verso i movimenti populisti e nazionalisti (Trump, Le Pen, Brexit, ecc.) a sinistra verso le posizioni più radicali e utopiche (Corbyn, Sanders, sconfitto per poco, vari movimenti come Podemos in Spagna, ecc.). C’è una specie di svuotamento del centro dello schieramento politico e attirano leader delle emozioni, piuttosto che della ragione. E del resto come spiegano le ricerche sociologiche è una radicalizzazione del ceto medio e il cambiamento della sua composizione, di fronte ai cambiamenti profondi dell’economia ed al crescere delel diseguaglianze, a far venir meno quella corrente di opinione che dava forza alle posizioni centriste (il progresso senza avventure lo definì una fortunata campagna elettorale della Democrazia Cristiana).

Il problema a sinistra è però più complesso. Perché la radicalizzazione a destra produce spesso (troppo spesso) risultati vincenti, a sinistra finora quasi mai. Corbyn in Gran Bretagna ha portato i laburisti a pessimi risultati elettorali, Podemos in Spagna ha ottenuto solo per sfinimento la riedizione di un governo dei popolari. In Francia per quel che contano i sondaggi Hamon è quotato attorno al 10%. Prima di lui vengono Le Pen, Fillon, e Macron, che con lo scandalo Fillon probabilmente diventerà il vero competitor di Le Pen, con buona possibilità di essere eletto presidente (Renzi guarda forse a questo spazio politico? Ma Macron è nuovo, Renzi non più). Perché poi vi sono sistemi elettorali, come il doppio turno, che possono correggere gli eccessi di radicalizzazione.

Il programma di Hamon è certamente in grado di suscitare interesse. Ma ha qualche parentela con una sua realizzabilità? Come può non piacere la proposta di un reddito universale di 750 euro per tutti i cittadini con più di 18 anni. Però lo stesso Hamon riconosce che costerebbe almeno 300 miliardi di euro, per altri economisti saliremmo a 500. Pur considerando una sua realizzazione graduale e che potrebbe assorbire interventi già esistenti è una cifra insostenibile. Oppure la proposta di tassare i robot può pure piacere ad una opinione pubblica stressata dalla mancanza del lavoro e comunque da un suo deprezzamento. Però quale sarebbe l’effetto? Occupazione al posto di robot? Difficile, piuttosto sarebbe quello di emigrazione delle imprese tecnologicamente più avanzate, con il bel risultato di privare la Francia della spinta dell’innovazione, magari obbligando la manodopera più specializzata, i tecnici più preparati, ad emigrare insieme all’imprese.

Ci sono anche proposte interessanti. Sul piano delle politiche europee ad esempio la proposta di annullare il debito accumulato a partire dal 2008 dai Paesi Ue maggiormente indebitati e detenuto da altri Stati membri dell’Unione; una moratoria dell’attuale Patto di Stabilità fino alla sua riforma che si dovrebbe caratterizzare per l’esclusione degli investimenti dal calcolo del deficit, e per l’obiettivo dell’armonizzazione fiscale. Di difficile o quasi possibile consenso, eppure si dovrebbe capire che il mondo si sta riorganizzando attorno a grandi aree di influenza indipendenti dall’Europa: gli Stati Uniti con politiche nazionaliste e protezionistiche, puntando alla disgregazione dell’Europa, la Russia che trova in Trump un alleato per le sue mire espansive di recupero nei paesi ex URSS, la Cina in Asia e Africa. L’Europa si divide nella frammentazione nazionalistica ininfluente, invece di fare passi in avanti per recuperare il peso che dovrebbe avere.

Di fronte a questo scenario buttare via il PD, volendolo ridurre ad un partito personale o dividendolo senza possibilità di successo è davvero da irresponsabili.

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2 commenti

  1. luigino
    2 febbraio 2017

    Concordo. Penso pero’ che ai diversi livelli ci si faccia condizionare eccessivamente da “invidia, rivalsa” e non si ascolti piu’ il “monaco che e’ in noi”. Invia le tue considerazioni a Matteo Renzi; secondo me dovrebbe poi cambiare schema di gioco. Non piu Presidente del Consiglio ma “Monaco” senza interessi “Segretario Pd” per una possibile prospettiva storica che intravedo nella tua analisi.


  2. Dino Bertocco
    5 febbraio 2017

    Non entro nel merito delle dinamiche all’interno della degradata nomenclatura socialista francese di cui Hamon è espressione, una sorta di Speranza con maggiore esperienza sul campo e meno etereo e telecomandato dalla vecchia guardia. Ciò che mi sconcerta della tua analisi è l’incipit sul “fallimento della globalizzazione”, che – ormai dovrebbe essere chiaro – è un’autentica bufala smentita da tutti i dati econometrici (compresi quelli sulla presunta disuguaglianza). Altro conto è ragionare sulla decadenza del ruolo dei ceti politici nazionali (e locali) nella loro funzione di elaborazione di programmi in grado di orientare la redistribuzione e le regolazioni per politiche in grado di affrontare gli effetti distorsivi della benefica crescita indotta proprio dalla globalizzazione. Renzi, da questo punto di vista, rappresenta la leadership più consapevole e (ancora) promettente….


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