Questo paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili

Pubblicato il 21 giugno 2018, da Politica Italiana

Secondo voi Salvini c’è o si fa? In altre parole pensa davvero di governare cinque anni trovando un nemico al giorno da additare al disprezzo e all’odio dell’opinione pubblica? Senza poi risolvere i problemi, perché naturalmente dopo la prova di forza con la nave Aquarius sono arrivate (in silenzio) altre due navi con migliaia di profughi.

Oppure pensa che non si possa governare senza una condivisione vera di un progetto paese, sulla base di un “contratto” che dice e non dice, e pensa perciò di massimizzare a breve il consenso per andare al voto presto, al culmine della popolarità, ed uscire come primo partito?

Certo è che per il momento appare lui il Presidente del Consiglio. È abbastanza ovvio che non si trasforma un avvocato (sia pur non estraneo ai circuiti del potere) in un leader politico dall’oggi al domani. Colpisce di più l’incapacità dei 5 stelle a contenere il salvinismo: Sono pur sempre il doppio della Lega in Parlamento.

Ed è patetico vedere Di Maio contrapporre al “censimento” dei rom il censimento dei raccomandati. Che si può mettere sul ridicolo (andrebbe bene in un film di Totò) o sul tragico perché potrebbe essere usata un’altra parola, epurazione di chi non è allineato. Tra l’altro dove i pentastellati stanno governando, a Roma e Torino, altro che meritocrazia: piuttosto scelta di persone che hanno avuto parecchi problemi di legalità.

Però per noi che stiamo all’opposizione si pone un bel problema. Perché queste politiche e questa narrazione che ci indignano hanno un così elevato consenso nel paese? Che si può rilevare dai sondaggi ma anche dai sondaggi quotidiani che ognuno di noi può fare nei bar e nelle piazze. Dove “compagni” si vergognano magari un po’ a dirlo ma sostanzialmente sono d’accordo: “era ora…”

C’è un mutamento antropologico del paese, dovuto a tanti fatti che abbiamo sottovalutato. Ad esempio una predicazione quotidiana su format televisivi ad alto ascolto (penso alle reti Mediaset e a pressoché tutte le televisioni locali venete) completamente dominata dall’idea dell’invasione, della sicurezza aggredita, della guerra tra poveri, di popolo in rivolta. C’è sì l’incertezza del futuro, l’impoverimento relativo, ma c’è anche l’idea di potersi sottrarre alle responsabilità del presente. Se dai sondaggi risulta che i primi due problemi ritenuti tali da larghe fasce di elettorato sono la questione dell’immigrazione e la questione della Fornero dobbiamo capire che c’è un paese ripiegato su sé stesso che fatica ad orientarsi sul futuro.

Ci sono mancati (sono mancati ai dirigenti nuovi del PD) una capacità di lettura, dei sensori sociali che rendessero avvertiti su questo mutamento. Ci siamo un po’ divisi tra i difensori della ditta tradizionale (e delle relative usurate parole d’ordine) e un nuovismo con debole radicamento culturale. Intanto il paese andava da un’altra parte. Abbiamo celebrato con enfasi esagerata come conquista rivoluzionaria la legge sulle unioni civili che riguardava una minoranza ristretta (andava fatta con sobrietà), abbiamo tentato senza successo la giusta legge sullo jus soli senza far nulla per spiegarla e sedimentando in larghe fasce di elettorato l’idea che noi ci occupiamo di questioni minori di quelle maggiori che avvertono nella propria vita.

Possiamo (giustamente) indignarsi sull’idea di un censimento dei rom, che evoca drammatici precedenti storici. Ma dobbiamo anche sapere che la retorica non serve a nulla. Il compito dello Stato è di difendere i principi facendo rispettare le leggi. Chi vive vicino ad un campo rom vede aspetti malavitosi che esistono e non sono repressi, vede uno scarso rispetto dei beni collettivi, coglie le difficoltà dell’integrazione scolastica, ecc. Sbagliato generalizzare? Certo, ma il cittadino non avverte chi non disturba, avverte quella parte che è dedita a furti, spaccio, degrado, cattivo uso dei beni collettivi, ecc.

Bisogna trovare le parole giuste per parlare anche a questa parte del paese che si illude che qualche parola forte porti a soluzioni, porterà piuttosto ad un incattivimento dei rapporti, ad un consolidarsi di inimicizie sociali che chiudono cuori e menti. Bisogna studiare e lavorare.

Farsi anche ispirare da chi sapeva guardare lontano. Potrebbero i nostri dirigenti riandare a quelle parole profetiche di Aldo Moro nel suo ultimo discorso del 28 febbraio 1978, in cui parlava di “questo paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili”. Quanta attualità in questa notazione! E ricordava il dovere di affrontare il tempo presente: “oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è dato con tutte le sue responsabilità”. Sveglia PD! C’è bisogno di una iniziativa politica forte e coraggiosa. Per il tempo presente.

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