Liberi e forti, anche nel presente

Pubblicato il 10 febbraio 2019, da Politica Italiana,Relazioni e interventi

L’Associazione I Popolari di Venezia mi ha invitato a tenere una relazione sulla figura di Don Luigi Sturzo, in occasione del centenario dell’Appello ai Liberi e forti che fu il documento fondativo del Partito Popolare italiano nel 1919.

Un documento di straordinaria attualità nei suoi principi generali: fiducia nella libertà e fortezza d’animo sono virtù più che mai necessarie nel difficile periodo che l’Italia sta attraversando, così come la volontà di propugnare ideali di libertà e giustizia sociale, due condizioni strettamente legate.

Anche di fronte alle difficoltà ed alle divisioni del Partito Democratico potremmo forse ricordare che il capolavoro di Sturzo nel 1919 fu di ricondurre ad unità politica posizioni molto diverse. C’erano cattolici ancora riottosi ad accettare la nascita dello Stato italiano, chi pensava che non ci fosse bisogno di un partito espressione della ricchezza di pensiero e di attività che esprimeva il mondo cattolico, che fosse meglio utilizzare i partiti “moderati” esistenti, chi guardava ad avanzatissime scelte sociali, guardando alle esperienze socialiste. Sturzo riesce ad unificare queste realtà così diverse. Come? Intanto sviluppando un pensiero politico e socioeconomico di grande originalità. E poi lavorando molto con una mentalità organizzativa. Già nel 1905 indicava ai cattolici la strada necessaria “tutti si mettono sul terreno comune della vita nazionale e vi lottano con le armi moderne della propaganda, della stampa, dell’organizzazione, della scuola, delle amministrazioni, della politica”.

Con una scelta di campo precisa: “O sinceramente conservatori o sinceramente democratici; una condizione ibrida toglie consistenza di partito …È chiaro che io stimo monca, inopportuna, che contrasta ai fatti, che rimorchia la Chiesa al carro dei liberali, la posizione di un partito cattolico conservatore e che io credo necessario un contenuto democratico del programma dei cattolici nella formazione di un partito nazionale” Ce lo ricordassimo anche oggi…

Sturzo nel 1924 fu costretto all’esilio. Individuato come nemico del fascismo, pericoloso per le sue capacità politico organizzative, scomodo anche per la Santa Sede che stava avviano le trattative per il concordato deve emigrare a Londra. Di lì scrive una commovente lettera agli amici rimasti in Italia invitandoli a non desistere ma anche a non farsi travolgere dal presente: “Nessuno sciupio di forze, nessuna mossa discutibile, nessun gesto inutile: il raccoglimento, lo studio, la preparazione. Essere innanzitutto sé stessi. Cioè rigidi assertori di libertà, aperti negatori del regime fascista, vigili scolte di moralità pubblica…L’esempio dei giorni aspri del primo Risorgimento deve farci convinti che nessuna forza armata o potere di principi e dittatori valgono a contenere la diffusione delle idee e a impedire che si affermino quando esse sono mature”.

Può rientrare in Italia solo nel 1946. Anche allora scomodo. Non le manda a dire, così scrive in una lettera al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi lamentandosi per la ricostituzione dell’Ordine dei Giornalisti: “i veri giornalisti si proteggono da sé, gli altri vadano a fare i ciabattini”.

Un democratico autentico, popolare e non populista. Scrive ad esempio che il popolo è una cittadinanza critica e la democrazia è partecipazione associativa ed individuale, il popolo è sovrano, ma sono sovrani anche il Parlamento, le autonomie, le libere forme sociali. Il popolo stesso è limitato nella sua azione di autogoverno e a sua volta limita i suoi rappresentanti al potere…il principio saldo è che la democrazia è limite essa stessa alla volontà popolare”. Un po’ complicato per i twittatori dell’uno vale uno, ma forse più adatto a mantenere in piedi una democrazia vitale…

In uno scritto poco prima di morire riepiloga così la sua esperienza politica: “C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenze, si attua con furberia. E anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale né moralizzabile) della vita pubblica. Ma la mia esperienza, lunga e penosa, mi fa concepire la politica come statura di eticità, ispirata all’amore del prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune”.

Qui di seguito la relazione completa sturzo.2019.02.06def

 

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